In questa epoca l’homo psychologicus, l’uomo della realtà psichica e della relazione simbolica non sembra incontrare grande fortuna. L’umano si è convertito ai dati del digitale e alle virtù delle meravigliose innovazioni tecnologiche incaricate di rivitalizzare un “mondo senz’anima”, un mondo che la fredda ragione tecnica, strumentale ed economica ha privato del sacro. Tale razionalizzazione morbosa del mondo e del soggetto è devitalizzante, alienante e cosificante. Posti di fronte a questa terribile minaccia, ci corre l’obbligo di riflettere su quale sia il posto della cultura, sulla funzione della parola, del racconto e della scrittura, per quanto concerne la fabbrica delle soggettività e del legame sociale. Se l’arte del racconto tende a venir meno, se la figura epica della verità tende a sparire, se le virtù deperiscono nelle forme corrotte delle nostre “democrazie della perizia e dell’opinione”, tutto questo avviene perché noi non abbiamo saputo preservare la nicchia ecologica dell'”uccello si sogno che cova l’uovo dell’esperienza”, come dice Walter Benjamin. La psicoanalisi, curandosi di ciò che è psichico attraverso l’esperienza del sogno e del suo racconto indirizzato ad un Altro, permette di dare una forma ad un destino. Detto in altri termini, la psicoanalisi rende possibile la creazione di un avvenire che non sia pura e semplice ripetizione.