La ricerca sula migrazione, le traiettorie storiche e i saperi chiamati a riflettere tanto sulle vicende individuali quanto sulle risposte sociali e istituzionali a quella che politici e media, contro ogni evidenza, si ostinano a pensare nei termini di una emergenza, definisce un campo contraddittorio dove l’antropologia psicoanalitica e medica che pratico da quasi vent’anni incontra nuove sfide e nuovi interrogativi. Nei racconti dei richiedenti asilo e nelle balbettanti formulazioni dei dispositivi di legge che regolano l’accoglienza delle richieste d’asilo o le forme di riconoscimento della protezione internazionale, riaffiora l’ombra di un vocabolario coloniale che ancora una volta ruota intorno al sospetto dell’Altro, della sua esperienza, della sua “identità”, della sua parola (di volta in volta definita come “falsa”, “strana”, “non credibile”, “manipolatoria”, “fondata su superstizioni”, “incoerente” ecc.). Le politiche della verità costituiscono oggi un terreno particolarmente accidentato dove l’ascolto della sofferenza, di quelli che sono stati definiti come “disturbi postcoloniali”, e le politiche della cura, si misurano con linguaggi inediti e forme di soggettività inscritte nel segno dell’inquietudine e dell’inganno. La mia analisi, fondata sull’etnografia clinica di richiedenti asilo provenienti nella maggior parte dei casi dai paesi dell’Africa Subsahariana, intende proporre una riflessione incrociata sui temi del trauma, della narrazione, della testimonianza e della memoria, sullo sfondo di una domanda sulla responsabilità del sapere medico e antropologico, sempre più spesso chiamati a “certificare” esperienze la cui verità è, in primo luogo, storica e politica.

Roberto Beneduce, psichiatra e antropologo, ha fondato nel 1996 il Centro Frantz Fanon (Torino) e condotto ricerche sulla migrazione, le politiche dell’asilo, e le trasformazioni dei saperi medici locali in Africa Subsahariana (Mali, Mozambico, Camerun, Uganda), ricerche tuttora in corso. Dal 2000, dopo aver concluso sotto la direzione di Marc Augé il dottorato presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (Parigi), è diventato docente di Antropologia Culturale (Antropologia Medica e psicologica) all’Università di Torino (Dipartimento di Culture, Politiche e Società), dove si occupa in particolare di memory studies, etnografia della violenza, antropologia del corpo e storia della psichiatria coloniale. Ha pubblicato recentemente Un lugar en el mundo. Senderos de la migración entre violencia, memoria y deseo (Ciudad de Mexico, 2015), L’histoire au corps. Mémoires indociles et archives du désordre dans les cultes de possession en Afrique (Fribourg, Academic Press, 2016, in corso di stampa), e – con Nigel Gibson – Frantz Fanon. Psychiatry and Politics (Boston, Rowman & Litttlefield, 2017, in corso di stampa).